Quando un motore di ricerca delega il suo lavoro ad altri aggregatori
Il titolo volutamente provocatorio, veicola una grande verità. Nonostante le molte evoluzioni dell’algoritmo di ricerca, la sempre crescente capacità di interpretazione semantica dei contenuti, l’introduzione di parametri legati alla storia e alla reputazione degli autori; quello che evinco dai risultati naturali di Google è una forte diminuzione della qualità degli stessi, soprattutto in relazione alle ricerche transazionali relative a prodotti e servizi.
Il fattore più evidente, e del quale parleremo di seguito, riguarda la sempre maggiore presenza di aggregatori (falsi o reali) di contenuto all’interno dei risultati di Google.
Per contestualizzare meglio questa affermazione prendo spunto da un fenomeno sottolineato dallo stesso Google: la sempre maggiore diffusione delle ricerche del tipo “le migliori…”, “top….”, ecc.
La sintassi di ricerca relativa alla comparazione (i migliori…, top…, i più economici…, ecc.) si è imposta con prepotenza nelle nostre abitudini.
Ma che tipo di risultati può fornirci Google in corrispondenza di queste tipologie di ricerche?
- Quella che chiameremo la “Google selezione” degli operatori e/o prodotti ritenuti migliori dal suo algoritmo. E qui entrerebbero in gioco l’awareness (o il trust-rank in termini tecnici) del sito, l’autorevolezza di chi ha scritto il contenuto, le recensioni che di quel prodotto/azienda presenti on line, ecc. ecc.
- Operatori terzi che propongono una loro selezione. L’ utente che ricerca i “migliori condizionatori ad aria” o “i migliori parrucchieri a Milano”, non riceve direttamente la lista dei prodotti ritenuti migliori da Google, ma bensì una lista di siti che presenta la loro personale selezione di prodotti.
Tra le 2, Google ha optato finora per la seconda soluzione.
Se provate a fare qualsiasi tipo di ricerca che contenga termini come “i migliori, ecc.”, nei risultati naturali troverete unicamente blog, comparatori di offerte e siti di affiliate marketing. Tanti siti di affiliate marketing che ripropongono risultati e link ad Amazon.
Questo non avviene solo nel mondo dei prodotti ma anche dei servizi, dove per ricerche del tipo “migliori agenzie di web marketing”, “migliori agenzie di consulenza” ecc. vengono riproposti siti che a loro volta segnalano la loro personale selezione di consulenti.
Due sono gli aspetti negativi di questo fenomeno:
- Esperienza di ricerca: l’utente (pigro) che cerca di delegare a Google la selezione delle migliori soluzioni presenti sul mercato, si trova invece a dover sottostare ad un percorso di click più lungo e articolato.
- Qualità dei risultati: delegando ad altri la selezione delle soluzioni ricercate dall’utente, Google demanda completamente a terzi la qualità dei propri risultati. O meglio il suo percorso si ferma a monte: si occupa di selezionare i selezionatori, ma non verifica (ed in effetti sarebbe difficile farlo) la bontà delle soluzioni proposte da questi ultimi.
Ma perché gli aggregatori/siti di comparazione, si posizionano meglio dei siti delle singole aziende e/o e-commerce?
La risposta è presto detta e abbraccia 2 tematiche:
- Perché Google per quanti sforzi abbia fatto, rimane ancora molto legato ai contenuti testuali presenti nelle pagine. Un’azienda che produce un determinato prodotto non può affermare che il suo prodotto sia il migliore in assoluto della categoria merceologica di appartenenza. Ne tanto meno può effettuare una selezione di prodotti competitors con i quali comparare il proprio.
Così come sul nostro sito di Sembox non potremo mai scrivere di essere La migliore agenzia SEO o di Digital Marketing (anche se ne siamo fermamente convinti😊). - Perché gli aggregatori, per loro natura, possono sviluppare facilmente (e con l’AI questo fenomeno subisce una forte accelerazione) molti più contenuti di quanto ne possano sviluppare i singoli produttori.
Concludendo, nonostante i tanti proclami e le tante novità introdotte da Google, che nella teoria promettono di combattere e limitare i fenomeni di spam, nella realtà l’esito finale della guerra (per il momento) è tutt’altro che scontato.
Chiudo con una piccola amara provocazione: credo che le strategie SEO debbano iniziare a considerare (nel paniere delle azioni possibili) anche la presenza all’interno dei comparatori (veri o falsi che siano).
Autore
Salvatore Cariello
CEO & Founder at Sembox